lunedì 26 gennaio 2015

LEI è ROCK- Signori: Loredana Berté

Se non c'eri non puoi dire.
Loredana Berté è davvero un fiore raro. 
Di quelli che faticosamente crescono e ancora con più difficoltà riescono a sopravvivere.
L'energia, la grinta, la diffidenza di chi non ce la fa proprio a scendere a compromessi, un bagaglio inestimabile di canzoni d'autore (alcune mai edite),un pool di musicisti con controfiocchi, l'amica, sorella e "spalla" dalla voce nera e potente, Aida Cooper, e ricordi senza fine proiettati in un sequel confuso tra "ieri ed oggi", tra quegli anni "70 ancora in esordio e questi 2000, pieni di rabbia, di voglia di riscatto, di fragilità, di isolamento...
Ecco, tutto questo è stato il Concerto di Loredana Berté. 

Non un bel concerto come altri, no. La storia di Loredana è nel suo stesso stare sul palco. 
Autentica, come la sua voce: graffia l'anima, si alza in volo dove non arriva nessuno, e poi ti piomba dritta nel cuore, ti emoziona, ti elettrizza, ti fa venire i brividi. 
E lì ti rendi conto che i suoi "40 anni di musica", non sono altro che un pezzo cantato della tua storia, vissuta tra un "mare d'inverno" e una "Luna" trasgressiva, una "Dedica" lasciata a dei balordi come te, a chi non sei mai piaciuta, e ad una ragazza mora e arrabbiata che non voleva essere "Signora", e che davvero è rimasta "...una per cui la guerra non è mai finita...".
Grazie Berté.

Teatro Colosseo - Torino, 24/01/15

lunedì 5 gennaio 2015

quann chiove

Era una canzone per me sconosciuta. Faceva parte di quel repertorio che non mi era entrato nelle orecchie, come avevano invece fatto certe canzoni dei primi anni '80, sentite mille volte attorno al carrozzone dei Giostrai,  dove, in estate almeno, Paolo, io e qualche altro amico raccattato strada facendo, trascorrevamo i nostri pomeriggi...
Quella di Pino Daniele era per me difficile da capire e quindi da ascoltare e, figuriamoci! Meno che mai da provare a strimpellare alla chitarra.
Ma un giorno, uno di quelli di pioggia, che costringono a stare al chiuso, uno di quelli che "non può però piovere tutto il giorno!", e invece lo fa, se ne arriva Salvatore che fa una proposta nuova, insieme a Marco: mettiamo su un gruppo!
Eh???
Uno di quelli che ti fanno passare il tempo, dai!
Lui suonava già la chitarra e il basso, ma ora stava imparando a suonare la batteria. Marco suonava molto bene la chitarra. Conosceva accordi jazz che gli insegnava un suo cugino jazzista. Ed io?
Tu suoni, no?
Ma rispetto a voi no!
Si, che va bene! E Paolo, anche lui chitarra e quel vario repertorio che imprivvisavamo, tra suono di flauti, bonghi e kazoo, anche lui tirato dentro al nuovo progetto.
La base operativa era il mio ampio garage.
Al primo incontro, la folgorazione.
Marco inizia un arpeggio.
Salvo lo attende e con una voce dolcemente sabbiosa, flautata quasi, con la sua coloritura campana, calda come la sua terra, Castellammare, inizia a cantare..
"E te sient quann scinn 'e scale, di corsa senza parlà e te veco tutt 'è juorne ca rerenn va a faticà...
...E luntan se ne va...tutt a vita accussì e te stip ppè  non murì... "
Ti conservo per non morire.
Ti trattengo per non morire.
E aspetto che piove, anche l'aria deve cambiare.
Un colpo di fulmine!
Seguivo con ingordigia i movimenti delle dita di Marco sulle corde.  Assoli, un magnifico e dolcissimo arpeggio.
Difficile per me che strimpellavo le canzoni delle giostre.
Allora con pazienza, mia e di Marco, tra una risata e una cantata, imparavo le posizioni, gli accordi,  il giro armonico...
Finalmente una canzone vera trovava
la sua armonia nella mia Arìa,  dalle corde metalliche. Sembrava vivesse una nuova vita anche la mia chitarra!
Ero molto felice.